Quando uscì Matrix, nel 1999, nessuno di noi capì davvero di cosa le sorelle Wachowski stessero parlando. Mentre sullo sfondo un millennio andava in archivio, ragionammo per anni di libero arbitrio, luddismo, cyberpunk, animalismo e un’altra manciata abbondante di teorie assortite, tutte più o meno confermate anche dai sequel. Finchè nel 2020 non fu direttamente Lily Wachowski a chiarire il mistero: Matrix è una metafora della transizione di genere. Caso chiuso dunque? Ovviamente no, perchè un’opera smette di appartenere ai suoi autori per divenire patrimonio del pubblico nel momento esatto in cui viene resa disponibile. Negli anni, non solo i significati rimasti addosso a Matrix si sono moltiplicati, ma la sua influenza ha pervaso significativamente la nostra cultura. Oggi, più che un nuovo seguito, Matrix: Resurrections è il tentativo di Lana Wachowski di riprendere il controllo della sua creatura. 

Cosa è reale, in un mondo post-Matrix?

Thomas Anderson è uno sviluppatore di videogiochi. Il più importante, famoso e celebrato sviluppatore di videogiochi del mondo. La sua trilogia di Matrix è entrata nella storia e il suo nuovo gioco in sviluppo si preannuncia un nuovo successo. Warner Bros., che controlla la sua società Deus Machina, pretende però un nuovo capitolo di Matrix, decisione che il suo socio Smith sembra appoggiare. La direzione creativa tuttavia non è il solo problema di Anderson, anzi, è decisamente meno preoccupante rispetto alla sua cronica difficoltà nel separare realtà e immaginazione, disturbo che lo costringe a frequentare lo studio di un analista e ad assumere quotidianamente psicofarmaci sotto forma di pilloline blu. 

Matrix: Resurrections

La prima delle tre parti di cui si compone Matrix: Resurrections è la migliore attualizzazione di Matrix che si possa concepire. Una quarantina di minuti abbondanti che giocano costantemente con la percezione di Keanu Reeves e dello spettatore da un lato all’altro dello schermo, una riflessione a carte scoperte su cosa è stato Matrix e cosa ha rappresentato per la cultura pop occidentale, e allo stesso tempo un perfetto reboot della saga che richiama e altera scene, ruoli e attori (impeccabile in questo senso il marmoreo Yahya Abdul-Mateen II nei panni di Morpheus). Ma anche una celebrazione di Matrix che gioca a viso aperto con lo spettatore, servendo la corretta quantità di fan service e scoprendo quelle carte necessarie a capire la rielaborazione meta-referenziale dell’intreccio. 

Dopo di che la pellicola torna a infilarsi tra le maglie della mitologia di Matrix, ripartendo dalla tregua tra umani e macchine con cui si era concluso Revolutions e complicandosi un po’ la vita a causa di un intreccio un po’ confusionario, in cui si fatica a capire quale sia lo scopo del nuovo antagonista, l’Analista (Neil Patrick Harris) e del vecchio Smith (qui interpretato in una nuova versione da Jonathan Groff). Se l’apertura è senza dubbio la parte più potente e interessante del film, quella centrale è decisamente più canonica e meno interessante perchè fatica a innovare. Le complicazioni nel worldbuilding di Matrix, dopo l’affascinante e minimale opera compiuta col primo capitolo, sono il lascito decisamente meno significativo dei due seguiti, e Resurrections oggi fa poco per aggiungere fascino a questa componente. Allo stesso modo, questo quarto capitolo nulla aggiunge sul piano dei combattimenti né su quello della tecnologia. Anzi, se rivisto oggi il primo Matrix è ancora un gran film sotto tutti i punti di vista, incluso quello della fotografia. Le camere digitali usate in Revolutions invece conferiscono ad alcune scene un aspetto posticcio, troppo definito e poco efficace. 

Matrix: Resurrections è una beffa

La grande beffa, però, Lana Wachowschi la compie nel terzo: Warner Bros. voleva un nuovo Matrix? Bene, Lana Wachowski gliel’ha servito, trasformandolo in una meravigliosa storia d’amore con al centro una Carrie-Anne Moss in magnifico spolvero, pronta a prendersi la scena e declinare al femminile i rapporti di potere della saga. La rivincita di Lana è senza quartiere, dai pugni con cui Trinity sancisce la sua supremazia su chi l’aveva sminuita poco prima in quanto donna fino al disprezzo con cui rigetta Tiffany, il deadname che le è stato appiccicato dalla IA che controlla la matrice per buona parte del film. 

Matrix: Resurrections

A partire da qui e andando a ritroso emergono strati su strati di significati, ripiegati su stessi e infilati nelle pieghe degli eventi, delle loro interpretazioni e dei diversi ruoli che si possono declinare su ciascun personaggio. Ne è un ottimo esempio l’Analista di Neil Patrick Harris, il padrone della nuova Matrix, avatar della Warner che controlla il brand, ma anche riflesso dell’alt-right trumpiana che ha riversato nell’opera delle Wachowski una filosofia totalmente opposta rispetto a quella concepita dalle autrici. Se su Twitter Elon Musk e Ivana Trump si sono beccati un sonoro fuck off per la loro libera interpretazione della pillola rossa, sullo schermo è l’Analista a subire le conseguenze per le sue teoria su cosa sia o debba essere Matrix. 

Attraverso Matrix: Resurrections, però, Lana Wachowski non si limita a riappropriarsi della sua creatura, strappandola dalle mani di chi negli anni ne ha deformato così tanto le intenzioni al punto di ribaltarle, ma riprende tutti i temi e le teorie con cui erano avvolti i film precedenti, estendendoli e aggiornandoli. Oggi il discorso sulla percezione e la realtà, anticipatorio nel 1999, non può che andare oltre e concentrarsi sulla narrazione, terzo incomodo che ha rubato la scena a entrambi, sul sul piano sociale sia nel contesto dell’intrattenimento. Siamo nell’epoca della trama e Matrix: Revolutions fa i conti con questa dura realtà in tutti i sensi, rielaborando i significati di questo cambiamento critico al suo interno e pagandone le conseguenze sulla propria pelle, lanciandosi in pasto a una critica che lo demolirà sulla base della fragilità degli eventi, ignorando totalmente i significati nascosti (a dire la verità neanche tanto) al loro interno. 

Matrix: Resurrections

Matrix: Resurrections è una beffa, di sicuro non soddisferà chi si aspetta un nuovo Matrix in senso stretto, è il ritorno dall’aldilà dell’autore che non si rassegna a morire dopo aver partorito, ma riemerge dalla morte come il suo personaggio cristologico per imporre nuovamente il suo Verbo. Una parola che poi, riducendo tutto alla tematica principale, è sempre quella dell’accettazione del cambiamento, della trasformazione che attende chiunque di noi una volta fatti i conti con i filtri che sovrapponiamo alla realtà e con il peso che attribuiamo alla percezione, nostra e altrui. Manca di quell’arroganza che ha reso Matrix una pellicola immortale, ma riesce comunque a rimanere a galla senza affondare nella sua seriosità impostata grazie alla mano registica di Lana Wachowski e a un’attenzione non solo per le immagini, ma anche per il loro significato, che forse non tutti coglieranno. Questo insieme contrastante e contraddiorio rende in definitiva Matrix: Resurrections un ottimo capitolo della saga, ma anche tutto sommato una pellicola che, nonostante alcune ingenuità e incertezze, riesce a portarsi a casa una meritata sufficienza. 

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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